di Alessio Barettini
Abbiamo già visto, e vedremo ancora, che una delle esigenze dell’artista è narrare. David Bowie lo ha fatto nelle sue canzoni, in diversi momenti della sua vita. Stilare un elenco potrebbe essere un lavoro incompleto, se consideriamo che ha cercato di fare della narrazione su altri piani: sé stesso, i film, l’arte, ovvero praticamente ogni ambito dove abbia messo le mani. Non una narrazione chiusa e semplice, o ideale, ma un vero e proprio ripetuto tentativo di creare narrazioni forti, di inserirsi nella tradizione europea della narrazione, quella che parte da Omero e passa, tanto per dire, da Vivaldi, Voltaire, Klee o Tolstoj, per citare a caso dei nomi che, con la propria arte, pongono l’attenzione dei fruitori sulla completezza delle loro opere, comprendendo in esse grandi concetti quali essenza, futuro, perfezione, assoluto. L’arte europea non è arte orientale, la cui immobilità ci può disorientare. Non è sudamericana, la cui varietà è il tratto più regolare e si differenzia dalla nostra come la regola dall’eccezione. Né africana, che ha un approccio popolare che pochi tra noi capiscono. Bowie vuol essere popolare, quale che sia il significato di questa parola, ma nella sua tradizione, che è qualcosa che esige una sua trama, che crea le storie perché sa che con esse può creare la Storia. E Wild Eyed boy from Freecloud è una narrazione forte, il cui ambiente, il cui protagonista, e i cui fatti, rispecchiano tutto ciò.
Solemn faced
The village settles down
Undetected by the stars
And the hangman plays the mandolin before he goes to sleep
And the last thing on his mind
Is the Wild Eyed Boy imprisoned
‘Neath the covered wooden shaft
Folds the rope
Into its bag
Blows his pipe of smolders
Blankets smoke into the room
And the day will end for some
As the night begins for one
C’è un simbolismo davvero marcato, in tutto questo. In esso troviamo (spesso, facilmente) una metafora della condizione dell’artista: il volto solenne, consapevole della serietà della sua missione, che qui è ancora un cantante il cui valore è imprigionato, e la storia del brano ne rappresenta la liberazione, è il compimento della profezia che mostra le sue conseguenze. La canzone parte da una situazione di tranquillità: un villaggio nascosto, un boia annoiato, e il ragazzo dagli Occhi Selvaggi in eterna, rassegnata attesa. Ma immediatamente ci troviamo dentro quello sguardo, per scoprire chi lo abita: un ragazzo solitario che vive sulla Montagna Nuvola Libera, dove neppure l’aquila osa volare.
Staring through the message in his eyes
Lies a solitary son
From the mountain called Freecloud
Where the eagle dare not fly
And the patience in his sigh
Gives no indication
For the townsmen to decide
So the village Dreadful yawns
Pronouncing gross diversions
As the label for the dog
Oh “It’s the madness in his eyes”
As he breaks the night to cry:
“It’s really me
Really you
And really me
It’s so hard for us to really be
Really you
And really me
You’ll lose me though I’m always
Really free”
L’immagine è quella di uno spazio che ci riporta alla mente la libertà assoluta, il cielo, la purezza. Eppure lo stato d’animo è negativo, e ogni liberazione è negata. Tutto è fermo, nessuna parola risolve, le uniche presenti sono le “gross diversions”, le etichette, le frasi fatte, come gli stereotipi contro cui ci si batte per affermare la propria indipendenza a inizio carriera e sempre. La vittoria può darsi, ma a caro prezzo: la follia nei suoi occhi, la follia dell’artista, sempre troppo debole agli inizi, a un certo punto si trasforma, compie la sua metamorfosi. Allora non è più la lotta, ma il grido liberatorio, la coscienza di una forza superiore che richiede sacrificio: la libertà ha un prezzo.
And the mountain moved its eyes
To the world of realize
Where the snow had saved a place
For the wild eyed boy
From Freecloud
Quel grido che la Montagna Nuvola Libera è pronta ad accogliere: il posto per lui c’è. Quella Libertà da cui David sembra provenire, quella Forza Superiore e il Successo della sua missione, simboleggiata dalla Montagna, la sola in grado di ascoltare la sua voce.
And the village Dreadful cried
As the rope began to rise
For the smile stayed on the face
Of the wild eyed boy
From Freecloud
And the women once proud
Clutched the heart of the crowd
As the boulders smashed down from the mountain’s hand
La crescita è in atto, Occhi Selvaggi sorride, anche nella difficoltà di chi vive nella condizione di eterna libertà, che è anche condizione di smarrimento, che ora si rovescia, e passa nelle mani degli abitanti del villaggio: il terrore, e le pietre che cadono dalla mano sulla montagna.
And the magic in the stare
Of the wild eyed boy said
“Stop, Freecloud
They won’t think to cut me down”
But the cottages fell
Like a playing card hell
And the tears on the face
Of the wise boy
Came tumbling down
To the rumbling ground
And the missionary mystic of peace/love
Stumbled to cry among the clouds
Kicking back the pebbles
From the Freecloud mountain track.
Dunque la reazione, la catastrofe, il pianto. Ma tutto questo è troppo anche per lui! La sua magia non è in grado di comprendere tutto questo, adesso. Perché? Per la saggezza? Per il compimento della Pace e dell’Amore? “Fermati, Nuvola Libera, adesso non penseranno più a spegnermi.”
Ma non basta. Le case cadono come un mazzo di carte, come le lacrime, enormi gocce che finiscono per segnare il percorso mistico della Pace e dell’Amore.
A quale prezzo allora tutto questo può darsi, se il Ragazzo dagli Occhi Selvaggi deve arrivare a ripetere le sue stesse orme, per raccogliere i massi caduti dalla Montagna a causa sua, come un computo dei danni, come osservare impotenti il proprio processo compiersi, nel male e nel bene e soprattutto nell’inevitabilità del connubio creazione-distruzione?
Prima di venire all’analisi delle fonti, sento di dover chiarire un punto, anche alla luce di quanto già pubblicato in altri articoli: dovrebbe essere ovvio, ma non reggerebbe nemmeno per un secondo una tesi secondo cui Bowie copiasse plagiando. I riferimenti sono le sue letture, la sua conoscenza. Ma anche la sua stessa vita, le sue tradizioni. Non è stato dunque inesatto sostenere che Bowie avesse letto Bradbury (vedi Space digression), ma non lo è neppure, constatare che Wild Eyed boy from Freecloud appartiene a una tradizione e a una serie di archetipi che, come scritto più sopra, sono parte del nostro modo di costruire trame. Può trattarsi di impliciti o di forme inconsce, di archetipi junghiani, per usare un termine contestuale, ma poco o nulla cambia, ai fini di questa ricerca.
Anzi, per Wild Eyed Boy from Freecloud ci tocca fare un viaggio di secoli.
Tanto per cominciare, la canzone è una fiaba. Di una fiaba ha l’ambientazione, la struttura, la morale. Il più grande studioso moderno della fiaba era russo, si chiamava Propp, e aveva capito che la maggior parte delle fiabe attingeva ai miti antichi e aveva come ambito di significato i riti di iniziazione e le rappresentazioni della morte. Questa condizione naturale e incerta non può situarsi precisamente, né avere un intreccio razionale. Il luogo sembra essere uno spazio semi-umano, perso chissà dove e chissà quando, ma con dei tratti molto precisi e dunque simbolici, come gli spazi di Tolkien. La contrapposizione tra villaggio e mondo reale, ad esempio, ci parla di compimento, di passaggio dall’infanzia all’età adulta, di incoscienza e coscienza. L’indeterminatezza dei luoghi contribuisce a descrivere questi momenti della vita dell’uomo. Propp aveva studiato tante fiabe, e aveva capito che più o meno tutte sono fatte allo stesso modo. In tutte ci sono un protagonista e un antagonista, una situazione iniziale di equilibrio, un punto di rottura, una situazione finale diversa. Lo stesso avviene qui: inoltre, come nelle fiabe, c’è una questione morale, una ragione didattica, che può essere un monito, un consiglio, o anche la descrizione generale di una condizione, quella dell’artista prima che sia riconosciuto.
In secondo luogo la canzone è una profezia. La serie di posizioni del suo protagonista rispecchiano quelle tenute da Cristo, dal profeta di Gibran, da Zarathustra, da Milarepa, e da chissà quanti altri. Quindi da chi si è fatto voce per gli altri, cominciando da lontano, da una condizione di isolamento, per arrivare sempre più vicino a noi, attraverso rifiuti, dolore, incomprensioni. Si potrebbe leggere il capitolo introduttivo del Profeta di Gibran, per rendersi conto di quanti punti in comune ci siano.
In terzo luogo la canzone presenta la caratteristica fondamentale dei poemi epici del mondo antico, primo fra tutti l’Epopea di Gilgamesh: l’eroe da solo che deve superare certi ostacoli e raggiungere un certo oltre che può essere, più o meno esplicitamente, l’immortalità.
Ancora: la canzone è un bildungsorman, con tutta l’estensione che dobbiamo dare a questo termine. Wild-eyed boy from Freecloud non è certo un romanzo ma ne contiene i germi. Bildungsroman, romanzo di formazione, è il termine che si usa perché nella nostra tradizione esistono tanti casi che propongono un personaggio di cui si descrivono le fasi che questo compie per arrivare a un compimento personale. Inutile elencare tutti i titoli che compongono questo genere, meno forse ricordare che sono ormai più di due secoli che il genere non conosce sfortuna.
Adesso proviamo a leggere questi versi. È Shakespeare, il bardo universale. Leggerlo è sempre una sicurezza.
Come m’accusan tutte le occasioni
che spronano la mia tarda vendetta!
Che cos’è mai un uomo
se del suo tempo non sa far altr’uso
che per mangiare e dormire? Una bestia.
Colui che ci ha dotati di una mente
sì vasta da vedere il prima e il dopo,
non ci largì questa capacità,
ed il divino don della ragione,
perché ammuffisca senz’essere usata.
Sia letargo bestiale o vile scrupolo
a farci pensar troppo sulle cose
(un pensare che, se diviso in quattro,
è saggezza soltanto per un quarto
e bassa codardia per gli altri tre),
io mi chiedo perché passo la vita
a ripetermi: “Questo s’ha da fare”,
quando per farlo ho causa, volontà,
e forza e mezzi. Ed a spronarmi a tanto
ci sono esempi grandi come il mondo:
ne sia testimonianza questo esercito,
massiccio d’uomini e d’armamenti,
guidato da un gentil giovine principe
che tutto gonfio di sacra ambizione
fa le boccacce all’invisibil fato,
esponendo ciò ch’è mortale e incerto
a tutto quello che Fortuna e Morte
ardiscono arrischiar contro di lui.
E tutto questo per un guscio d’uovo!
Vera grandezza non fu mai combattere
senza grandi motivi;
ma è pur grande trovar causa di lite
in una paglia, s’è in gioco l’onore.
Ed io qui, con un padre assassinato
e una madre insozzata, che sto a fare?
A lasciar sprofondati nel letargo
questi impulsi del sangue e della mente
e, a mia vergogna, riguardar la morte
sulla testa di ventimila uomini
che per capriccio o ricerca di gloria,
vanno alla tomba come al loro letto,
per un palmo di terra, insufficiente
puranche a contenerli tutti sopra,
o a ricoprirli quando saran morti.
Ah, siano sol di sangue i miei pensieri
d’ora innanzi, o non sian pensieri degni!
A parlare è il Principe Amleto, alla fine del IV atto, prima che la tragedia arrivi al suo epilogo. Amleto sta riflettendo su quanto già accaduto, sulla volontà, sul destino amaro che si deve attraversare prima di veder compiuta la propria opera. Se pensiamo all’Amleto ci troviamo dentro una storia completa, ma triste, più triste di quel che il principe si era prefissato. Lui voleva vendicarsi, smascherare il colpevole, e invece la sua azione danneggia tutti, sé stesso compreso. Amleto non saprebbe spiegare perché la giustizia, lui, la debba pagare così cara. Nemmeno il ragazzo dagli Occhi Selvaggi.
È stato poi notato che la canzone proponga l’archetipo dell’énfant sauvage dell’Aveyron. L’idea può funzionare. Ne aveva parlato Jean Jacques Rousseau, e l’archetipo si contrapponeva perfettamente alle modernità della rivoluzione inglese che stava mettendo in crisi valori e abitudini della classe borghese. Il wild-eyed boy allora rappresenterebbe proprio questo specchio, questa coppia di opposti. I limiti della società, quindi, e le sue incapacità di riconoscere ciò che è puro, innocente, vero. Così l’artista, il sé, per mantenersi vivo e farsi riconoscere, deve compiere bizzarre torsioni, e arrivare ad accettare di scindersi e lasciare indietro parti di sé, forse non del tutto indispensabili. Può sembrare paradossale che proprio nel 1970 François Truffaut fece uscire L’Énfant Sauvage.
Un altro mito ci riguarda qui: è la leggenda di Kaspar Hauser, uno degli enigmi dell’Europa moderna. Un ragazzo trovato nel 1828 in un paese della Baviera con un biglietto in mano. Senza linguaggio e senza memoria. Qualcuno si occupa di educarlo, qualcuno di ucciderlo. In mezzo uno scarto incolmabile: deficit mentale o innocenza immutabile, dipendente dall’assenza di una base di partenza?
Lo sguardo dell’innocenza è per definizione lo sguardo dell’artista. Il bambino è veggente, profeta, come Rimbaud, come Gibran. L’ambientazione di Wild-eyed boy from Freecloud richiama quell’immaginario. Il ragazzo solitario, il villaggio che non è in grado di capirlo: l’iniziale stupore, una rassegnata accettazione, una reazione di ripudio, una fine che supera e trascende. La leggenda di Kaspar, come nei film a lui dedicati (quello di Herzog e il recente ottimo lavoro di Davide Manuli, almeno) è senza soluzione ancora oggi. Chissà se si può dire lo stesso della leggenda di Bowie.
https://www.youtube.com/watch?v=C9uqPeIYMik
https://www.youtube.com/user/Zorblob