BOWIE E IL DOPPIO NELLA LETTERATURA
di Alessio Barettini
[Qui la prima parte]
…
Torniamo al testo. Sappiamo che prima fonte letteraria usata da David Bowie è la poesia The litlle man who wasn’t there o Antigonish di Hughes Mearns.
Mearns, prima di essere un poeta era un insegnante, e viene ricordato più per i suoi metodi pedagogici che per la sua poesia. Il Sapere non ha confini. Fu quando metteva in scena un’opera teatrale per una sua classe di bambini, che descrisse la scena dell’avvistamento di un fantasma con le parole che ben conosciamo:
“As I was going up the stair
I met a man who wasn’t there!
He wasn’t there again today,
I wish, I wish he’d stay away!”
When I came home last night at three,
The man was waiting there for me
But when I looked around the hall,
I couldn’t see him there at all!
Go away, go away, don’t you come back any more!
Go away, go away, and please don’t slam the door…
Last night I saw upon the stair,
A little man who wasn’t there,
He wasn’t there again today
Oh, how I wish he’d go away…
È chiaro che si tratta di un refrain adatto al palcoscenico, con sonorità più simili alle filastrocche che a poesie vere e proprie. Salta immediatamente all’occhio, è vero, l’analogia con The Man Who Sold The World. Il verso “Altough I wasn’t there” è quasi uguale a questi iniziali di Antigonish. Qui il narratore racconta di aver incontrato un uomo che non era dove lo aveva visto, e che questo non-incontro si verificò più volte. L’assenza-presenza di questo fantasma è inquietante, e genera nel narratore il desiderio che quello se ne vada via per sempre. Siamo in piena atmosfera gotica. Siamo nella paranoia, nel misticismo, nella perentorietà dell’atto, nella morte. Tutto va verso il buio. Ma quello di cui a questo punto noi non possiamo che prendere atto, quello che a questo punto stravolge quanto detto finora, è che in mezzo a tutta questa oscurità, il testo di Bowie è il solo dove la presenza di un doppio non è vista in maniera angosciante. È davvero singolare. E verrebbe da pensare che la sia giovane età dell’autore ad aver contribuito a rendere scanzonata l’intera situazione, così spesso presa troppo sul serio da tutti gli altri. Eppure nessun sospetto che in Bowie non ci fosse abbastanza coscienza: l’antagonismo, la doppiezza sono ben chiari nel suo testo. Il fatto è che la parola doppiezza, anche in linguaggio comune, è subito circondata di un alone negativo. Chi è doppio è falso, ma perché? Se il doppio è una delle condizioni del nostro esistere, perché non prendere atto della sua esistenza, e quindi scriverci su non negandola, ma in modo neutro o, sembra suggerirci Bowie, addirittura divertito?
Se questo è vero, allora siamo di fronte a una delle chiavi di lettura dell’intera poetica di David Bowie, che spiegherebbe la scelta che ha dato vita ai suoi alter ego, come occasione per confrontarsi, per divertirsi, oltreché la giustificazione per esplorare. Allora diventa sensato che una canzone come The Man Who Sold The World, anche titolo del suo terzo album di studio, presupponga e comprenda un modo di essere che non lo lascerà per tre quarti della sua carriera artistica (e non solo musicale). La naturalezza di ciò, allora, il gusto con cui Bowie ha compreso, accettato e fatto propria l’intera questione. Se l’uomo cioè non può essere stabile, soggetto com’è a cambiamento costante, tanto vale cavalcare l’onda e sviluppare un’arte del cambiamento. Sarà sempre David Bowie, ma portatore di una coscienza che fa dell’identità solo un colore neutro, un contenitore vuoto in cui riempire come si crede ciò che si ha.
Nella canzone sono presenti i temi dell’assenza, della ricerca, della vita e della morte, ma il sorriso con cui i due io, per così dire, si salutano e si lasciano, permette alla pesantezza di questi temi di alleggerirsi completamente, di svuotarsi e di arrivare a un dominio di sé che non sembra dover temere nulla. La narrazione del brano inizia già con il soggetto plurale, un “noi”, che ci pone in un’ottica particolare. L’incontro avviene sulle scale, mentre uno sale e l’altro scende, indistinta metafora che pone l’incontro su un livello verticale, ascensionale, e non orizzontale, e dunque sprituale. Nessun argomento particolare, tra i due, che parlano “del cosa e del quando”, che noi potremmo tradurre con “di questo e di quello”: il fatto che tutto si può dire, ma la Verità stia altrove. Poi la consapevolezza di non esserci, forse il dubbio, la cui oscurità viene però dissipata dalla rassicurazione “he said I was his friend”, un legame indissolubile, forse, una frase che suscita stupore, e poi una frase, forse non pronunciata, forse detta solo con gli occhi, le cui parole sono “I thought you died alone, a long long time ago”, e che spostano l’incontro in una dimensione eterna e profonda, che lascia tutto all’immaginazione, la cui profondità è rimarcata dal suono alliterante di “alone” (solo) e di “long” ripetuto due volte (molto). La risposta “Oh no…” non è che la consapevolezza così serenamente accettata (in modo così straordinario) che il destinatario di quella frase semplicemente non può essere detto, non può essere concepito, perché riguarda tutti gli esseri umani, indipendentemente dal loro grado di coscienza. Quindi la metafora della vendita del mondo potrebbe essere inserita, a questo punto, tranquillamente fra le spire del percorso personale di David, il suo lascito personale da una parte, l’ingresso a pieno titolo nel mondo del rock dall’altra.

Londra, 4 maggio 1970: David viene fotografato presso i Trident Studios, a pochi giorni dall’inizio delle sessioni di ‘The Man Who Sold The World’. L’album sarà pubblicato a novembre. © Rolf Adlecreuz
Il “control” poi, è essenziale. Se, come si è visto, Dorian Gray era simbolo di gioventù eterna, se certo Bowie aveva amato Wilde proprio per la sua ambiguità di esteta, è chiaro che questa visione positiva del Sé può darsi solo in presenza di un controllo costante che impedisca alle cose di sfuggire. Quel controllo sancito dalla risata, all’inizio della seconda strofa, e dalla stretta di mano. Un patto col diavolo simbolico che come detto stravolge il principio angosciante dell’altro da sé come figura temibile, e della ricerca di una risposta a tutti i costi. Ma se l’imbarazzo di una risposta viene evitato, certo non potrà essere evitata la vita, l’esistenza spesa a cercare, che da quel momento dopo l’incontro è spiegata nei versi “I searched for farm and land, for years and years I roamed”, indicazioni di tempo e spazio volutamente vaghe, forse addirittura casuali. Rimarrà testimone quello sguardo, quella consapevolezza con cui Bowie è pronto a dare a tutti lo stesso messaggio, lui, doppio di ciascuno di noi, che si è fuso, da allora, in ciascuno di noi. Il secondo ritornello cambia, e si apre con la domanda “Who knows?”, certo destinata a non avere risposte, ma solo la coscienza di ciò che siamo. Lui, ora, è quello che ha venduto il mondo. O forse lo siamo anche noi.