Qui di seguito la traduzione alle note scritte da David Bowie, apparse nel 1993 all’interno del booklet dell’album The Buddha Of Suburbia. Esse vennero riportate anche nella versione in vinile stampata in Brasile nel 1994 (e anche nelle recenti versioni bootleg della stessa). Le annotazioni di Bowie fanno uso di un linguaggio particolarmente ostico e ricercato, motivo forse per il quale vennero totalmente soppresse nella ristampa americana per la EMI del 1995, per poi riapparire in forma decisamente edulcorata e rimaneggiata nella ristampa del 2007. Ho confrontato le due diverse versioni presentandone la traduzione della loro forma piu completa possibile. Alcuni passaggi risultano piuttosto complicati dal punto di vista della costruzione del periodo, ma ho deciso di non ricorrere a parafrasi e di rimanere il più fedele possibile alla terminologia di origine. Anche per questo motivo permane qualche dubbio sulla sfumatura di alcuni significati.
“Questa raccolta di musica non assomiglia molto alla breve strumentatura per il Buddha della BBC. Quel progetto è stato inizialmente diretto e guidato dal regista Roger Mitchell, che mi ha aiutato ad evitare le consuete trappole che portano a scegliere piccole partiture orchestrali.
Tuttavia, lavorando per conto mio, questi stessi pezzi hanno semplicemente acquistato una vita propria in studio, la narrazione e le memorie degli anni ’70 – fornendo uno scenario strutturale alla mia immaginazione – si sono manifestate come una situazione lavorativa davvero eccitante. In breve, ho preso i pezzi che avevo scritto per l’adattamento televisivo e li ho rifatti completamente, eccetto che per la canzone principale.
Il ritmo di lavoro era incredibilmente frenetico, ci sono voluti solo 6 giorni per scrivere e registrare, anche se poi altri 15 per mixare, in parte a causa di alcuni problemi tecnici, nulla di serio ma abbastanza per mettere fuori gioco il gruppo di lavoro per di 5 o 6 giorni.
Vi racconterò qualcosa dei metodi di lavoro: ho preso ciascun tema o motivo musicale dell’opera e l’ho inizialmente allungato o esteso fino ad una durata di 5 o 6 minuti. Osservando la strumentazione indicante il tempo delle tracce ho sperimentato con diversi elementi ritmici, batteria, percussioni, temple block (si tratta di strumenti musicali orientali, costruiti con blocchi di legno cavo, NdT) ed altro, fino a che ho trovato un senso di associazione al motivo musicale principale. Successivamente, annotandomi in quali tonalità mi trovavo e contando il numero delle battute, spesso abbassavo i potenziometri lasciando solo gli elementi percussivi, senza informazioni armoniche a cui riferirsi. Lavorando a strati costruivo quindi delle aggiunte all’interno della tonalità di composizione, totalmente alla cieca – per così dire. Quando rialzavo i potenziometri si evidenziavano un insieme di frastuoni; quelli più estremi o interessanti venivano quindi isolati e ripetuti variando gli intervalli di tempo, dando così una impressione di intenzionalità.
Su due pezzi, The Mysteries e Ian Fish, la registrazione originale è stata rallentata, introducendo l’intera struttura drammatica e permettendo ad Erdal di suonare su di essa il tema portante.
Sul mio brano preferito, South Orizon, tutti gli elementi, dalla strumentazione principale alla struttura, sono stati suonati sia in avanti che indietro. Quanto ne è risultato è stato poi assemblato arbitrariamente, dando a Mike Garson uno contesto splendidamente eccentrico sul quale improvvisare. Personalmente ritengo che Garson su questo pezzo dia la sua migliore performance, e fa venire i brividi ad ogni ascolto.
La mia idea per questa raccolta di musica era coniugare il mio attuale metodo di scrittura con l’esecuzione del patrimonio musicale ereditato dagli anni ’70.
Questa ne è una parziale lista:
Free association lyrics
Pink Floyd
Harry Partch
Costume
Blues clubs
Unter de Linden
Brücke Museum
Pet Sounds
Friends of the Krays
Roxy Music
T. Rex
The Casserole
Neu
Kraftwerk
Bromley
Croydon
Eno
Prostitutes & Soho
Ronnie Scott’s club
Travels thru Russia
Loneliness
O’Jays
Philip Glass in New York clubs
Die Mauer
Drugs
[Riporto di seguito la lista apparsa nelle note della ristampa del 2007 che, oltre ad alcune piccole modifiche di ordine e forma (evidenziate in grassetto), vede l’inclusione di 5 nuovi elementi (preceduti da cancelletto):
Free association lyrics
Kraftwerk
Pink Floyd
Bromley
Harry Partch
Croydon
Costume
Eno
Blues clubs Soho
Prostitutes & Soho
Unter den Linden
Ronnie Scott`s club
Brücke Museum in Berlin
Travels thru Russia
Pet Sounds
Loneliness
Friends of the Krays I had known
O`Jays
Neu
#Mark Bolan
Philip Glass in New York clubs
#Richard Strauss
#Philip Glass playing in London 1970/1
#Drag
T.Rex
Die Mauer, Berlin
The Casserole
Drugs
Roxy Music
#Mum]
La lista in realtà sarebbe infinita ma quella sopra è quanto inizialmente è emerso nella mia mente.
Il 50 per cento del contenuto dei testi è utilizzato semplicemente dal punto di vista semiotico, il resto o per suggerire astruse implicazioni oppure solo perché mi piaceva il suono delle parole.
Nella mia scrittura c’è sempre stata una vaga assenza di radici. Scrivo per un opprimente senso di transitorietà, oppure essa è un caso di immaginazione che viene riorganizzato dalla memoria? Questo mi porta spesso a ri-complicare molte delle mie composizione scritte, qualcosa dal quale sto cercando seriamente di allontanarmi. Devo chiarire il fatto che molte delle mie metodiche lavorative sono prese completamente, o in parte, dalle mie collaborazioni con Brian Eno, che secondo la mia modesta opinione occupa la posizione nella musica popolare del tardo ventesimo secolo, quella che nell’arte visiva posservano Clement Greenberg durante gli anni ’40 oppure Richard Hamilton nei ’60.
In generale le percezioni di Brian sulla forma o lo scopo connessi con la cultura lasciano la maggior parte dei critici a fare il tip-tap sull’orlo del burrone vomitando virtualmente null’altro che chiacchiere modaiole.
Con un po’ di coercizione sarebbero felici di tuffarsi ad angelo nel vortice di quello che creano per conto loro.
Tuttavia, Brian “canta come una ragazzina ah ah e mixa e registra due volte” così io sono con lui (qui Bowie scrive imitando lo slang di qualcuno, la traduzione dell’originale “he singe lik a litul gerl and dubul-trak” è dunque incerta, NdT).
Uno dei maggiori ostacoli all’evoluzione della musica è stata la fondamentalmente ridondante forma narrativa. Per fidarsi di questo vecchio cavallo da guerra si può solo perseverare nella spirale che fa parte dell’imbarazzo britannico dell’insularità. Forse in ultimo possiamo confinare la narrativa lineare al passato.
D’altro canto, gli avvenimenti moderni hanno portato una capacità disfunzionale sulla semplice prospettiva cronologica, la mia scrittura spesso si è affidata troppo arbitrariamente sulla violenza e il caos come una labile alternativa per il riconoscimento spirituale e l’inedia emozionale. So di non essere da solo in questo dilemma.
Ancora in questo senso, il caos stesso è stato espresso intelligentemente, contestualmente, prepotentemente e in modo vitale da Pixies, Sonic Youth, The Fall, Glen Branca, Television, Suicide, solo per nominarne alcuni. Ora questo caos, poltiglia ctonia e apollinea, imbrigliata e ordinata, può essere usata a nostro vantaggio. Può essere riordinata con una forma armonica per ricreare chiarezza e, ad un certo livello, riequilibrare la frequente spregevole bassezza nella quale abbiamo annaspato.
Il nostro prodigioso talento britannico è più che in grado di mostrare le vere gemme sottostanti questo millennio tracotante, violento e ignorante.
In questa ultima decade il nostro lavoro è stato confuso e avvilente, esigendo dalla nostra arte niente più della, come dice Paul Valéry, “percezione senza la noia della comunicazione”.
Sono costantemente affascinato dalla concretizzazione della forma, usare l’elemento ritmico come una armatura di elementi, da disporre, un po’ come le decorazioni su un albero di Natale, piccoli elementi di arcane informazioni.
La vera disciplina dunque è ridurre tutti gli eletti superflui, in un trend riduttivo, ottenendo qualcosa che è più vicino possibile ad essere decostruito, la cosiddetta “significant form”, per usare un’espressione degli anni ’30. L’ironia, naturalmente, è quale sia la più affascinante, la forma psicologicamente provocativa oppure la semplice aridità?
Affermando questo, mi sento pienamente colpevole di aver inserito ogni volta che potevo considerevoli pezzi di elementi narrativi in questa stesso lavoro.
In virtù di tale argomento questa raccolta musicale rischia di essere regionalista, persino parrocchiale, una critica a quasi tutto il lavoro britannico di questo secolo.
Forse a causa della nostra innata affezione per la forma narrativa ci ancoriamo un po’ troppo saldamente alla nostra arcana immagine di noi stessi. Mi sembra che avvicinandoci al 2000 si stia condividendo una maggiore stima della posizione internazionale degli artisti britannici (includo qui tutte le forme d’arte).
Non sono solo Pollack, Springsteen, Warhol e i Nirvana. Con la maggior parte delle opere artistiche alle quali ci approcciamo siamo straordinariamente inventivi, sebbene bizzarri, alzando la posta in gioco, ma – ahimè – incapaci di insistere nelle cose genuinamente difficili. Mentre scrivo ci sono solo cinque artisti inglesi nella Top Fifty americana, e purtroppo solo DUE demoralizzanti dischi britannici sugli espositori dei “50 Essential Albums” all’interno dei Virgin Megastore londinesi.
Non è come dovrebbe essere, e lo si potrebbe correggere con il nostro insistente proselitismo, che quello che realizziamo è tanto importante internazionalmente quanto lo è ovviamente nazionalmente. In questo paese il fatto di avere un così malnutrito talento confina con l’assurdità.
Nessuna altra nazione, meno di tutti gli Stati Uniti, è stata in grado di unire agevolmente e in modo non paternalistico così tanti elementi culturali diversi in un’unica forma musicale coesa e socialmente stabile come quella che abbiamo su questa isola.
In America la musica popolare moderna non è mai stata più divisiva, sia dal punto di vista razziale che sociale. Il più grande pericolo degli ultimi anni è stato l’ulteriore escalation della Grande Globalizzazione Culturale Americana. Dall’interno la sua omogenea minaccia comporta la finta assunzione di rancore contro un’enfasi fuori moda e di breve durata sulla produttività e il successo materiale, oltre a qualsiasi interesse speculativo nei più profondi misteri del nostro essere.
Come si dice, una generazione senza buonsenso, o interesse del passato, imploderà in se stessa.
Oggi raramente noi artisti diciamo molto su noi stessi. Siamo senza storia, interesse o vita spirituale. Oppure abbiamo spesso pensieri frammentati e banali. Quegli elementi occasionali che hanno un po’ di merito, sono spesso solo abbozzati e non sviluppati.
Sebbene ritengo che tutta l’arte sia in qualche modo autobiografica, sembra sempre più difficile per l’artista rinunciare alla sua solipstica soggettività.
La mia personale ambizione è creare una forma musicale che catturi una mescolanza di tristezza e grandezza da una parte, e aspettativa e organizzazione del caos dall’altra. Una musica che abbandoni la sua connessione al ventesimo secolo e ricerchi quello che la stimola e quello che produca qualcosa come base di lavoro per il ventunesimo secolo.
Questa musica come progetto mi ha dato un immenso piacere e non ringrazierò mai abbastanza Hanif Kureishi e Alan Yentob per avere chiesto la mia partecipazione per questa serie TV così vivace e irriverente.
Ringrazio anche Kevin Loader e Roger Mitchell per la loro saggezza e guida nel darmi le prime indicazioni per la soundtrack.
David Richards, un produttore troppo a lungo “silenzioso”, assieme a Erdal Kizilçay, hanno dimostrato quanto valgono e lo hanno fatto creativamente, andando oltre le loro individuali capacità.
Hip-Hip Harangue.
Happy Xmas and Manifesto returns to you all.”
Bowie Sept 15th ’93
[Le note del 2007 si concludono differentemente, qui di seguito il testo:
“Il metodo del cut up che è palesemente utilizzato in tracce come Bleed Like A Craze, Dad (sí, è un gioco con Krays) e Dead Against It scaturisce dalla scuola del Fucking with the Fabric of Time di Brion Gyson/William Burroughs. Il magico poli-strumentista Erdal Kizilcay è stato cosí decisivo nell’interpretare i miei desideri musicali, le mie fissazioni e gli arrangiamenti, cosa affatto divertente.”]
Matteo Tonolli