Nel suo viaggio all’interno dell’ossessione di Bowie per il Buddismo, Adriano Ercolani si sofferma su uno dei dischi meno conosciuti del Duca, ma che lui amava particolarmente: “The Buddha of Suburbia”.
Non si può chiaramente sintetizzare un percorso di ricerca frastagliato, clamoroso, contradittorio eppure intimamente coerente come quello di Bowie nel breve spazio di queste note, ma possiamo più onestamente indicare percorsi di approfondimento.
Spesso, come nell’esoterismo classico, le verità nell’opera di Bowie non sono dichiarate, ma si scoprono grazie a intuizioni improvvise, magari dopo anni di ascolto, collegamenti mai còlti, percorsi sotterranei di coincidenze e richiami.
Dunque, ora ci occuperemo di una referenza non immediatamente esoterica, ma che chiaramente ha a che fare con le esperienze spirituali di Bowie.
Considerato il tema, infatti, crediamo sia opportuno parlare di “The Buddha of Suburbia”, disco del 1993, colonna sonora dell’omonima miniserie televisiva (con protagonista Naveen Andrews, il futuro Sayid Jarrah di “Lost”), ispirata al romanzo d’esordio, di tre anni prima, di Hanif Kureishi.
Chi meglio di Bowie poteva raccontare il conflitto dalla vita di strada dei sobborghi londinesi e la ricerca interiore delle proprie radici spirituali, nel contesto della rivoluzione sessuale dei primi anni ’70?
Proprio per questa serie di stimoli contrastanti, ideali per incendiare l’ispirazione di Bowie, il disco, pur essendo molto sottovalutato, è senza dubbio tra i più interessanti del ventennio ’80-’90 del Nostro.
Un disco dal destino tormentato: non è in realtà la colonna sonora composta originalmente da Bowie per il film (mai pubblicata), ma una rielaborazione a sé stante; Inoltre, come lamentato dallo stesso artista (che provocatoriamente lo definì il proprio disco preferito), è stato vittima di una stolta distribuzione (la catalogazione come colonna sonora lo rese invisibile ai media), venne ripubblicato due anni dopo in USA con una copertina completamente differente.
Bowie apprezzava talmente l’opera da ritornare sul brano “Strangers when we meet”, in una diversa versione, come singolo del successivo “1.Outside”.
Inoltre, nella prima versione europea del 1993 si era dilungato in una lunga nota di copertina che ricollegava il disco alle proprie esperienze degli anni ’70, elencando la serie di debiti e influenze che riconosceva nella composizione dell’opera.
Non a caso, nel finale della title-track Bowie cita gli accordi finali del ritornello di “Space Oddity” e il verso finale di “All the Madmen”, “Zane, zane, zane/ Ouvre le chien “(omaggio a “Le Chien Andalou”, cortometraggio surrealista girato da Luis Buñuel e Salvador Dalì col quale apriva i concerti nel tour “esoterico” del 1976): il disco, ben prima degli ultimi strazianti capolavori, sembra ripercorrere, sospeso tra distacco e nostalgia, le tappe cruciali del Bowie “leggendario” di venti anni prima.
Nel brano “Sex and the Church” si affronta uno dei nodi della cultura occidentale, il rapporto sessuofobico della teologia ufficiale con i sensi, che occulta e confonde il significato allegorico dell’unione mistica.
Ancora una volta, Bowie mescola genialmente le sue nozioni non cristalline di tantrismo, influenze freudiane, fascinazioni orientali e tentazioni trasgressive: ciò che proposto da un altro artista potrebbe sembrare un’accozzaglia di riferimenti slegati, è reso degno d’attenzione dalla sua intelligente eleganza.
Vi invitiamo a riscoprire questo disco, pieno di soprese e stimoli, ben più di quelli appena accennati i questa nostra breve riflessione.
Ci affidiamo al vostro discernimento, anche perché, come Bowie canta sornione all’inizio del brano che dà il titolo all’album, nell’ambito della ricerca esoterica è sempre difficile “tell the bullshit from the lies”.
Per approfondimenti su The Buddha of Suburbia
Lo speciale
Le note ìntegrali a The Buddha of Suburbia
La recensione
Immagine di copertina gentilmente concessa dal sito bowieontape.com , “a place for cassette collectors, fans of the format and Bowie fans”.