BOWIE IS MINE a cura di Leo Mansueto
Dave Gahan: of faith and devotion
Che ne sarebbe stato del giovane David ‘Dave’ Gahan se alla fine degli anni Settanta non avesse conosciuto e amato la musica di David Bowie? E che ne sarebbe stato dei Depeche Mode se quel diciassettenne dalla capigliatura stramba, il guardaroba eccentrico di un new romantic e i continui pellegrinaggi al Blitz Club di Londra, non si fosse trovato alla Woodlands School di Basildon quel fatidico pomeriggio della primavera del 1980? E sì, perché come narra la leggenda e come lo stesso protagonista ha ricordato anni dopo, “quel fatidico pomeriggio” Dave Gahan si lasciò trascinare in quella scuola dall’amico Paul Redmond per assistere alle prove dei French Look, la band di un tale Rob Allen. Suonarono “Heroes” e Gahan impugnò il microfono e attaccò a cantare. Al di là del muro, nella classe accanto, la sua performance vocale colpì l’attenzione di Vince Clarke, in quei giorni alla ricerca di un cantante per i suoi Composition Of Sound (nella band anche Andy Fletcher e Martin Gore, quest’ultimo a mezzo servizio con i French Look): una settimana dopo nascevano i Depeche Mode…
Casualità o predestinazione, il debito di David Gahan nei confronti di David Jones va ben oltre le semplici coincidenze di quel lontano mercoledì di 36 anni fa. “Per me” racconterà il frontman dei Depeche Mode al biografo Marc Spitz, “Bowie rappresentava una strada per uscire da me stesso e per fuggire da quel che ero. Basildon era una cittadina industriale della working-class e Bowie accese in me la speranza che potesse esserci un’altra realtà. Ma dov’era questo mondo a cui lui sembrava appartenere? Ero convinto che lui non fosse di questa Terra. E la cosa mi affascinava profondamente.”
Nulla di più naturale, quindi, se il più grande debito di riconoscenza di Gahan, prima ancora che al Bowie berlinese potenziale ispiratore dei primi vagiti elettronici dei DM, vada a Ziggy Stardust, quintessenza del trasformismo e della fuga extraterrestre. “Sono tanti i dischi che sono stati cruciali per me” ha raccontato ai microfoni della CNN in tempi recenti. “Ma se dovessi nominarne uno solo direi ‘Ziggy Stardust’. Mi ha letteralmente cambiato la vita.”
“’Moonage Daydream’ mi fa venire la pelle d’oca ancora oggi” ha raccontato ad Uncut. “Non saprei dire di cosa parla esattamente, ma che importa. Una canzone non deve necessariamente avere un senso. Quel che conta sono le emozioni che trasmette. Magari ha più senso dal punto di vista melodico, è un brano musicalmente astratto. Mi accompagna ogni volta che mi sforzo di scrivere qualcosa. È una fonte di ispirazione. Senza, la mia vita avrebbe potuto diventare quella di uno sbandato.”
Come quella del suo “hero”, l’esistenza di Gahan ha dovuto fare i conti con parecchi demoni.
Dopo un infarto nel 1993, è sopravvissuto a un’overdose di eroina, a un tentativo di suicidio e a un tumore maligno alla vescica, operato e rimosso nel 2009. Come per Bowie vent’anni prima, anche la sua esperienza a Los Angeles agli inizi degli anni Novanta, è coincisa con il periodo più buio della propria vita: la discesa nell’inferno delle droghe pesanti. Inutile dire che la risalita ha del miracoloso. Gli anni 2000, dopo il successo planetario conquistato con i Depeche Mode, sono anche quelli dell’affermazione solistica (“Paper Monsters” e “Hourglass”) e della collaborazione con i Soulsavers della ditta Rich Machin & Ian Glover, parentesi necessaria per uscire dalla routine dei DM e respirare maggiore libertà anche come autore. E’ stato così che, dopo un’apparizione “defilata” in occasione dell’album del 2012 “The Light The Dead See”, la sua firma e la sua faccia sono finite sulla copertina del successivo lavoro dei Soulsavers, “Angels & Ghosts”, targato 2015. In quel disco c’è una canzone, “One Thing”, in cui Gahan si lascia andare a un’allusione esplicita (“There’s always life on Mars out there for me”) all’immaginario di David Bowie. “’Life On Mars?’ è una canzone che significa molto per me” spiega in un’intervista dell’ottobre 2015 a Electronic Beats. “Ancora oggi quando la ascolto sento la voce di una persona che si è perduta. Ma allo stesso tempo, riesco a vedere il meraviglioso scenario in cui si è persa e la ricerca disperata di qualcosa che possa anestetizzare quelli che sono i nostri sentimenti.”
“’Life On Mars?’” ha ribadito in seguito, “ha il potere di trasformarmi, qualunque sia il mio umore. Per diversi decenni Bowie è stato l’unico artista in grado di sorprendermi sempre e anche di sollevarmi. Mi identifico completamente nella sua voce e nelle sue canzoni”. “Mi capita spesso di riascoltare la sua musica” ribadisce in un’altra intervista. “Se mi sento in un certo modo, riascolto ‘Ziggy Stardust’ o ‘Aladdin Sane’ e il mio umore cambia radicalmente. Mi ritrovo a vagheggiare i posti dove sognavo di poter andare quando ero un adolescente. Dove c’era Bowie, lì volevo essere anche io.”
Americano d’adozione come Bowie, Gahan risiede a New York dal 1997, dove attualmente vive con la terza moglie Jennifer Sklias. In un’intervista di Ralph Moore per Mixmag del 2007, Gahan raccontava così l’esperienza di condividere gli stessi luoghi newyorkesi di Bowie: “Mi è capitato di vederlo spesso. Sua figlia va alla stessa scuola di mia figlia (Stella Rose – ndr) e succede di ritrovarci lì fuori ad aspettarle. Mi capitano di questi incontri surreali nel posto dove vivo. Vedo Lou Reed che passeggia col suo cagnetto, per esempio. Sono tutti miei eroi, ma ho il privilegio di poterli osservare nella loro quotidianità: tutto questo ha qualcosa di figo. Una volta, nel 2002, Bowie tenne un concerto a Roseland (Heathen Tour, Roseland Ballroom, 11 giugno 2002 – ndr) dove eseguì tutte le canzoni di ‘Low’ ed ebbi l’opportunità di incontrarlo dopo lo show. Fu un’esperienza strana. Prima del concerto mi dissero che David voleva davvero incontrarmi. Da scettico pensai: Possibile? Come fa a conoscermi? Per me, il solo fatto che un’icona come lui potesse essere al corrente della mia esistenza era qualcosa di bizzarro. Sulle prime mi rifiutai, poi mia moglie insistette ad andare nel backstage. Fu bellissimo. Lo vidi venir fuori dal suo camerino, c’era anche sua moglie e un po’ di gente che gli girava attorno. Venne dritto verso di me, mi chiamò in disparte e mi disse: ‘Io ti conosco!’”.
“Ho sempre avuto una grande soggezione nell’incontrare gli artisti che più amo e rispetto” confesserà a Chloё Sevigny di Interview nel 2009. “Quando incontrai Bowie ero terrorizzato dall’idea che potessi non piacergli. Ma lui fu molto gentile e ci intendemmo all’istante.”
Il filo invisibile che lega Gahan a Bowie si fa esplicito nel 2011. Il 6 maggio di quell’anno, in nome della devozione sempre confessata per “Aladdin Sane”, il cantante dei Depeche Mode si cimenta in una sanguigna cover di “Cracked Actor”. L’occasione? Un concerto benefico per MusiCares al Nokia Theater di Los Angeles (su YouTube sono diverse le testimonianze audio e video di quella performance speciale). Un secondo tributo, ancora più esplicito, è quello che lo vede all’opera nella cover di “Cat People (Putting Out Fire)” realizzata quest’anno da Martyn LeNoble e Christian Eigner a sostegno dell’American Liver Foundation. “Been so long, so long, so long” ripete Dave nella coda del brano, affiancando il baritono cupo e ipnotico di Mark Lanegan. É il suo modo di gettare benzina su un fuoco che arde da molto, molto tempo. Nell’attesa di una personale canzone di fede e devozione che, chissà, potrebbe arrivare con un prossimo album dei Depeche Mode.