Assonanze inattese. Fantasia su David Bowie e il Tintoretto
di Maria Cristina Strati
Del rapporto tra David Bowie e l’arte molto si è detto e moltissimo, certo, resta ancora da dire.
In quanto segue, però, ho provato a rintracciare una chiave di lettura un po’originale, senz’altro inedita, che può darsi aiuti a comprendere sotto una nuova luce la musica, e più in generale la produzione artistica, di David Bowie proprio attraverso la sua relazione con le arti visive, e in modo particolare con la pittura. È noto che David Bowie interagì in modo piuttosto intenso con il mondo dell’arte contemporanea, soprattutto durante il periodo di ascesa della cosiddetta Young British Art degli anni novanta. Tuttavia la passione di Bowie per l’arte non si fermava al mondo del contemporaneo. In particolare, tra gli artisti del passato ce n’era uno che David Bowie amava forse più di tutti gli altri. Si tratta di Jacopo Robusti, noto come il Tintoretto, pittore veneziano operante in Italia nel corso del sedicesimo secolo. Sappiamo che David Bowie era così affascinato dalla sua arte da averne voluto possedere un dipinto per la sua collezione privata, come confermano molte voci, mentre, come è noto, è a tutt’oggi la Jones/Tintoretto Entertainment Inc. a detenere i diritti delle sue canzoni.
Un nome scelto a caso? Si direbbe proprio di no.
Insomma, il richiamo a Tintoretto ritorna talmente spesso quando si parla di Bowie e del suo amore per l’arte, che la cosa non può essere considerata casuale. Perciò pensando a questo, mi sono divertita ad andare a cercare le motivazioni della passione di Bowie per Tintoretto, non tanto nei dati storici e biografici a nostra disposizione, quanto nello spirito e nella poetica dei due artisti, apparentemente, ma forse (è quello che vorremmo dimostrare) solo apparentemente, così lontani tra loro. Ma che cosa possono avere in comune una rockstar del ventesimo e ventunesimo secolo e un pittore del 1500? È proprio tanto assurdo mettere a confronto la loro arte? Secondo i risultati della mia breve (e inevitabilmente non esaustiva) ricerca, si direbbe proprio di no.
Procediamo con ordine.

Autoritratto Jacopo Robusti “Tintoretto”
Un fuori-casta
Planet earth is blue and there’s nothing I can do
Come testimoniano i testi di storia dell’arte, Jacopo Robusti, detto Tintoretto, fu una personalità complessa e a tratti controversa: fu certamente una delle personalità della sua epoca, ma si distinse anche sempre da coloro che appartenevano alla società che contava, identificandosi spesso con la figura di un fuori-casta, come ebbe a dire Jean Paul Sartre in un famoso testo a lui dedicato: era come non si sentisse completamente a suo agio nel suo ambiente e nel suo periodo storico, o almeno così pare. Tintoretto era dunque insieme un uomo del suo tempo, di cui seppe esprimere sapientemente la verità e le contraddizioni, e un individuo che non si sentiva mai del tutto in sintonia con il mondo culturale e sociale in cui gli era capitato di nascere. Questo sentimento di sentirsi differenti, dissonanti, è uno degli elementi che permea la pittura del Tintoretto, conferendo al suo lavoro tratti inconfondibili.
Contestualmente, Tintoretto raccontò nei suoi dipinti il mondo delle persone comuni intente nelle loro attività quotidiane, mostrando un profondo sentimento di empatia nei loro confronti e cercando di portare a tema non solo la mera quotidianità del loro agire, ma il mondo complesso della loro interiorità, dei loro sogni e desideri di libertà e felicità.
Come ben sappiamo David Bowie nel corso della sua vita e lunga carriera, fu una persona influente e entrò a far parte del “giro che conta”. Tuttavia la sua vita quotidiana, soprattutto negli ultimi anni, fu quella di una comune newyorkese. Moltissime sono le persone che lo ricordano come una persona alla mano, spiritosa e gentile, che certo non mostrava l’atteggiamento di superiorità e spocchia propria della gente famosa.
Questo per quanto riguarda il rapporto alla vita e alla gente comune.
Ma soprattutto per quanto concerne invece la sua poetica, ovunque, nell’arte di Bowie, è presente il desiderio di far parte di qualcosa e insieme il tormento di sentirsi lontani da tutti, incomprensibili, folli, forse, come il fratello Terry, morto tragicamente a metà degli anni ottanta. Com’è noto, la figura dell’alieno si aggira per i testi e le musiche di Bowie fin dal principio. A volte è l’astronauta che si perde volontariamente nello spazio, a volte è l’alieno che seduce il mondo con le sue movenze fluide da gatto giapponese, o lo guarda con curiosità e stupore, con amore, anche, ma senza mai sentirsene davvero parte.
Ovunque in Bowie si sente però anche la voglia di mettere i piedi per terra, finalmente incontrare la realtà, , segno paradossale di un profondo amore per la vita, di una voglia di vivere capace di sconfiggere tutto, anche il dolore. Ma a questo sentimento sempre fa da contraltare, dall’altra parte, l’urgente fascinazione per un mondo-altro, il mondo del come potrebbe essere, che vive (e viene da) dentro le nostre anime, che a volte è qualcosa a cui puoi fare ritorno per rifugiarti, ma che altre volte ti tiene drammaticamente in scacco, come un destino inesorabile.
Il futuro, prima però
Strange fascination fascinating me. Ah! changes are taking the pace I’m going through
Secondo gli storici, nella sua arte Tintoretto anticipò il futuro della pittura svincolata dai dettami letterali della figurazione, addentrandosi in esperimenti e prospettive ardite. La sua poetica è permeata da un profondo senso di disadattamento esistenziale, come se il suo mondo e la sua epoca storica non gli permettessero di esprimere appieno il suo progetto artistico, al centro del quale si colloca una visione drammatica, inquieta.
David Bowie ha fatto del suo intero percorso artistico una sfida ai dettami di ciò che ci si poteva aspettare da lui e ciò che il mondo della musica, di volta in volta avrebbe voluto che lui facesse. Non fu mai dove ci si aspettava di trovarlo, artisticamente parlando. Sperimentò fino alla fine, con la sua musica, le sue maschere, le sue produzioni, i video, il teatro.

San Marco salva un saraceno dalla barca (1566)
La spiritualità tormentata
Lord, lord, my prayer flies, like a word on a wing, and I’m trying hard to fit among your scheme of things
Ancora, i lavori di Tintoretto sono permeati di una religiosità non di forma, che si identifica con una ricerca spirituale intensa e non scontata, non priva di angosce e dubbi, piuttosto che con l’aderenza si dettami di una dottrina imposta.
La spiritualità è presente nelle canzoni di Bowie, quasi ovunque, tanto da portarlo a dire in un’intervista che ogni sua canzone poteva essere interpretata come una preghiera. Non è una religiosità in senso tradizionale la sua, ma una spiritualità tormentata, sempre alla ricerca, non paga di sé né tantomeno pacificata. È un autentico interrogarsi sulle questioni profonde e fondamentali della vita e della morte. Ciò accade da My Death, Quicksand fino a Blackstar, passando per Station to Station, The Next Day e Word on a Wing. La visione è sempre inquieta, tormentata, viva: è la domanda dell’uomo verso l’infinito, drammatica, onesta e a sua volta infinita.
Imprevedibilità e perdita di equilibrio
I will sit right down, waiting for the gift of sound and vision
Ma soprattutto, ancora, i dipinti di Tintoretto poi sono visioni mirabilmente sconnesse, in cui più punti prospettici, spesso identificati da lunghi fasci di luce, si sovrappongono l’uno all’altro, dando luogo a una concezione di spazio e movimento che pare sempre sul limite della perdita di equilibrio di cose, oggetti, persone. Si pensi a questo proposito a L’ultima cena (1592-94) o San Marco salva un saraceno dalla barca (1566). Ancora il filosofo Jean Paul Sartre, interpretò la sua opera come l’espressione di una rivolta personale, poiché la sua arte si spinge al di là della realtà conosciuta e concreta, cercando di protendersi costantemente oltre i limiti della realtà.
La stessa cosa si può dire per la struttura musicale delle canzoni di Bowie, che sono sempre caratterizzate dall’imprevedibilità, dal non seguire una struttura lineare e semplice, per preferire strade nuove, non ancora percorse, richiami arditi, dissonanze mai cacofoniche e ritmi sempre inattesi, anche nelle canzoni apparentemente più orecchiabili o ballabili. Eppure la risultante di tutte queste linee sonore non è mai l’irregolarità o l’assenza di forma, ma sempre un’armonia prima di tutto spirituale ed esistenziale, una sorta di sublime dinamico trascinante.
Qui gli esempi potrebbero essere infiniti: quasi tutto Bowie, per non dire tutto, funziona con questa logica compositiva. Da Life on Mars? fino a Lazarus.

Visione della Croce di San Pietro (1550-53)
Spiazzare la nostra visione del mondo
Taking it all the right way, never no turning back
Insomma, per Bowie come per Tintoretto, la composizione è sempre ardita, la visuale inattesa. Come disse Sartre, ancora una volta, Tintoretto dipinge le relazioni spaziali, dando la sensazione però che le figure siano sospese in un perenne stato di squilibrio, quasi come fossero colte nell’atto di cadere o di “un rapido rialzarsi”.
Nei dipinti di Tintoretto, come per esempio nella Visione della Croce di San Pietro (1550-53) è la luce teatrale, che dà la direzione prospettica, accentua la tragicità della narrazione. Anche altrove spesso la presenza di più punti di vista accentua il costante senso di caduta, la sensazione perturbante dell’equilibro instabile. Analogamente, in molti luoghi i soggetti sacri mostrano le due realtà, divino e umano che si contrappongono e nello stesso tempo sono l’una all’altra compresenti, tempo e controtempo, conflitto e corpo a corpo con la materia, lotta tra peso dei corpi e leggerezza degli spiriti, specchio a sua volta di un conflitto ben più profondo: l’essere corpo mortale e il voler essere (solo) spirito.
Ma anche per David Bowie possiamo parlare, neanche troppo metaforicamente, di composizioni decentrate (pensiamo a come si svolge la composizione musicale di Blackstar, per fare un esempio), doppie prospettive (oltre che musicalmente, anche fisicamente, il musical Lazarus presenta al pubblico del teatro due punti di vista: uno frontale, teatrale e uno proiettato da una telecamera, che riprende l’azione da un altro punto di vista), direttrici diagonali (visioni non lineari sono presenti ovunque in Bowie, pensiamo alla copertina di “Heroes”, ma anche alla composizione di quasi tutti i brani strumentali della trilogia berlinese o, più banalmente, alle Strategie Oblique di Brian Eno).
Freddo? Ma chi?
Saying no, but meaning yes. This is all I ever meant, that’s the message that I sent
E infine, in David Bowie come in Tintoretto, lungi dal presentarsi come elaborazioni intellettuali rigidamente razionali, le sperimentazioni tecniche si rivelano invece ogni volta vettori di una forza emozionale e narrativa travolgente e spesso tormentata. Così come all’intensità drammatica di Tintoretto poco si confaceva la definizione di manierismo, lo sguardo algido e altero del Thin White Duke degli anni settanta nasconde, nemmeno troppo bene, una vitalità impetuosa, finanche dolente, che certo incanta, ma anche commuove.
E così procedono, entrambi, il pittore del ‘500 e la rockstar dei giorni nostri, a metterci in crisi con le loro contraddizioni e solo apparenti dissonanze, per affascinarci e catturarci per sempre con la loro arte sapiente, per spiazzare la nostra visione del mondo, quando è troppo lineare, non vera, sorda a rispondere alla vita e portarci altrove. Là dove si mostra il divino, i nostri occhi incontrano la plasticità e la pesantezza della materia, e dove il tema è la morte e la disperazione, ciò che sentiamo vibrare è la sensualità e l’amore per la vita. Saying no but meaning yes, this is all I ever meant. C’è un modo migliore per dirlo?